Per tutte le tecniche di pesca in mare alcuni accessori sono comuni anche diversificandosi nelle dimensioni e nelle forme.
LE LENZE
Il primo accessorio comune a qualsiasi tecnica è la lenza.
Essa può essere in monofilo, in multifibra, in dacron oppure metallica.
La lenza più usata è il monofilo in nylon utilizzato sia per imbobinare mulinelli che per la costruzione di travi e finali.
Un monofilo da mulinello deve possedere la caratteristica di grande morbidezza, in gergo tecnico assenza di memoria, in modo che la sua uscita non sia connotata da fastidiose piegature da parrucche che compromettono una buona distesa del filo.
I monofili da finale devono essere connotati invece da una buona rigidità ed una discreta elasticità, non troppo elevata ma un poco serve. Ormai siamo però alla sostituzione dei classici monofili in nylon con gli ottimi fluorocarbonati che assicurano una invisibilità maggiore con il vantaggio di poter utilizzare lenze un po’ più grosse e quando serve una maggiore resistenza all’attacco dei granchi. (dia 4) I diametri dei monofili si esprimono in centesimi di millimetri ed i due estremi li troviamo tra lo 0,06 utilizzato in casi estremi nella pesca con bolognese a diametri del 1,20 per i terminali da tonno.
Altra caratteristica delle lenza è il carico di rottura espresso in chilogrammi ma anche in libbre specie per le lenze da traina.
Alcuni monofili riportano sulle etichette i carichi di rottura lineari e quelli al nodo.
I monofili da qualche tempo tendono a riportare tra le caratteristiche i diametri reali ma c’è ancora qualche azienda che spera di suscitare meraviglia riportando diametri inferiori ai reali e carichi da record per cui magari leggeremo che un filo da 0.20 ha un carico di rottura di 5,8 chili, alla misurazione al micrometro quel 20 si rivelerà magari un 23 e quei quasi 6 chili saranno tutti da testare.
Per i multifibra siamo nel campo di lenze spesso risultanti dall’intreccio di decine o centinaia di microscopiche filamenti; alcuni hanno sezione più o meno circolari, altri più appiattite; qui la questione dei diametri è abbastanza opinabile in quanto, non trattandosi di corpi rigidi anche la più attenta misurazione con uno strumento tradizionale porta ad uno schiacciamento. Alcuni di questi prodotti presentano una corteccia trattata e risultano un po’ più rigidi e maggiormente scorrevoli all’interno dei passanti di una canna.
L’uso più adeguato è individuato nel caricamento dei mulinelli da bolentino medio e profondo, inoltre nel surf casting vengono utilizzati spezzoni di 8 – 10 metri per confezionare i parastrappi ed, in alcune particolari situazioni, anche per confezionare terminali (solo i tipi più rigidi ed in situazioni estreme). Per le lenze metalliche giusto un accenno al monel utilizzato sui mulinelli rotanti da traina (ne parleremo più approfonditamente trattando tale tecnica), ai cavetti ricoperti e termosaldanti utilizzati per confezionare terminali a tenuta di morso sia per pesci tipo barracuda, serra, gronghi, quindi anche nella pesca da terra.
Stesso rimando alla tecnica dedicata per le lenze in dacron utili sempre all’imbobinamento di mulinelli.
GLI AMI
Se per le lenze si è passati dai bachi da seta essiccati e stirati, ai crine di cavallo fino al nylon, per gli ami possiamo ricordare una più lunga storia che passa da quelli confezionati in selce, poi in osso nella preistoria fino al arrivare, sempre con le stesse funzioni agli ami che attualmente utilizziamo.
L’amo si compone essenzialmente di una punta, di una curva, di un gambo e di una paletta o di un occhiello ma in alcuni casi troveremo, per la trattenuta della lenza a cui è legato, solo delle leggere zigrinature sulla parte finale del gambo.
Le punte portano nella maggior parte dei casi un ardiglione che serve a trattenere il pesce, ma ci sono anche ami senza ardiglione. Le punte possono essere rientranti, a becco d’aquila, diritte e leggermente estroflesse verso l’esterno.
Particolari alcuni ami di origine haitiana che portano l’ardiglione invece che all’interno della punte posizionato esattamente all’esterno.
La curvatura di un amo può essere più o meno stretta e più o meno rotondeggiante::::
Il gambo si distingue per la lunghezza e li classifichiamo in a gambo lungo, medio e corto.
Per l’innesco di esche lineari tipo i vermi, si prediligono quelli lunghi e medi; per esche meno allungate o per l’innesco del vivo si prediligono ami a gambo corto.
Le misure degli ami sono inversamente proporzionali alla grandezza per cui un amo del 22 sarà piccolissimo mentre un amo del n. 1 sarà grosso.
Dopo il numero 1 prosegue la numerazione preceduta da uno 0 per cui avremo ami 0/1, 0/3 e così di seguito fino ad ami misura 0/10 ed oltre dedicati alla cattura diversi mostri marini come ad esempio grandi squali. Ma non createvi preconcetti perché ad esempio un amo del 5/0, che è bello grosso, è utilizzato tranquillamente nel rock fishing per pesci medi come dentici o lecce e sullo stesso 5/0 può tranquillamente abboccare, se adeguatamente innescato, anche una spigola di soli 2 chili e forse meno.
I SISTEMI DI ATTACCO
Non parliamo chiaramente di schemi calcistici bensì di una serie di accessori utili alle giunzioni.
Elemento fondamentale è la girella; questa si compone di un barilotto centrale in cui sono inseriti due occhielli che hanno la capacità di ruotare su se stessi e di scaricare le torsioni.
La girella più elementare è in ottone mentre quelle di maggior pregio sono in acciaio fino ad arrivare alla girella Sampo e tutte quelle che ne ricalcano le caratteristiche che nel barilotto centrale hanno un sistema a cuscinetti a sfera.
Le misure delle girelle variano da misure piccolissime tipo le n. 22 fino a salire di numerazione e di dimensione. La grandezza della girella deve sempre essere proporzionale alla trazione a cui è sottoposta affinché possa svolgere il ruolo a cui è deputata. Ad esempio nel surf casting una girella a cui è attaccato un terminale dello 0.25 quindi tarato su di uno sforzo di circa 7 chili ovvero 15 libbre, dovrà essere di dimensioni contenute e già una numero 12, di quelle in acciaio, è ampiamente sufficiente allo scopo.
Alla girella può essere abbinato un moschettone che altro non è che un congegno con apertura a pressione in cui viene inserito un piombo, un terminale o quant’altro deve essere sostenuto. E’ consigliabile che il materiale di costruzione del moschettone sia lo stesso della girella.
Altri sistemi di aggancio sono i moschettoni Mc Mahon di origine anglosassone e una serie di aggeggi di produzione semiartigianale come i Fast C, i Multi Link, gli Spin Link, Gli Oval Split ed altri.
Il guadino, volgarmente coppo, serve per l’appunto a guadinare il pesce. Esso consta di un coppo a struttura metallica o in bambù cui è agganciata una rete – la tendenza sta portando all’uso di reti in nylon -, poi con un sistema di fissaggio a vite, a pressione o altro esso è collegato ad un manico che sarà corto e rigidissimo per la pesca dalla barca, fino a guadini anche di 8 metri telescopici per la pesca con canna bolognese. I guadini più pregiati hanno il manico in carbonio che unisce alla leggerezza del materiale una buona rigidità: lo svantaggio è il prezzo decisamente elevato pari a quello di canne in carbonio di qualità non eccelsa. In alcuni casi, da spiaggia e da barca, viene utilizzato il raffio che altro non è che un manico più o meno lungo, corto per il surf casting, recante alla fine un grosso uncino con cui agganciare il pesce.
Un’ ultima annotazione riguarda l’abbigliamento. In estate basta poco per essere perfettamente attrezzati ; una leggera felpa, un giubbetto antivento, pantaloni magari antiumido, leggeri stivali o scarpette e siamo a posto.
Il problema si presenta in inverno quando spesso dobbiamo combattere con vento e pioggia oltre che con il freddo,. I capi migliori sono quelli in Goretex o materiali simili tipo l’Entrant, ai piedi dopo sci o stivali seri e calze anticondensa magari in pile. La spesa per l’abbigliamento invernale non deve essere improntata al risparmio in quanto solo capi tecnici di altissima qualità garantiranno il nostro benessere ed una durata che giustificherà ampiamente la spesa.
Attenzione ai completi antipioggia di scarsa qualità, questi se pure ci riparano dagli scrosci d’acqua sono in grado di produrre una condensa interna forse più dannosa della stessa pioggia.
L’abbigliamento intermedio è bene che sia in Pile, materiale sintetico che garantisce a sua volta un’ottima tenuta all’umido e che mantiene una temperatura corporea quasi costante.
Insomma in inverno prima che farci brillare gli occhi per la nuova canna o il nuovo mulinello, guardiamoci bene intorno per spese mirate che non rendano la pesca fonte di malanni.
Capitolo 5- I MULINELLI Se per gli ami esiste un’ evoluzione documentata circa l’evoluzione degli stessi, nel campo delle canne c’è stata una trasformazione molto più lenta con un lunghissimo periodo in cui la canna palustre opportunamente lavorata ed il più pregiato bambou l’ hanno fatta da padroni.
Una lavorazione più pregiata prevedeva l’assemblaggio di lamelle di bambù di forma esagonali.
In alcuni posti dove l’evoluzione è stata più lenta, vedi Portogallo, è possibile trovare ancora canne per varie specialità in tronchino esagonale.
Veniamo al più semplice degli attrezzi “la canna fissa”.
Semplicità d’uso non corrisponde a semplicità di pesca. I virtuosi della canna da riva utilizzano ancora questo attrezzo non potendo contare sull’aiuto che la frizione di un buon mulinello offre in caso di prede di peso.
Tralasciando le canne in bambù che certamente hanno accompagnato l’infanzia di molti pescatori ancora in piena attività, oggi la canna fissa è costruita in fenolico, per il segmento economico, ed in varie mescole di carbonio per il segmento di mercato che va dal pescatore della domenica fino al più evoluto degli agonisti.
La tecnica costruttiva in entrambi i casi prevede una serie di elementi tubolari dalla conicità più o meno accentuata, inseriti l’uno nell’altro(canna telescopica), con lunghezze che partono dai 3 metri fino ad arrivare e superare i 10 per telescopiche pure o per un ibrido tra la canna telescopica e quella ad innesti che è la ROUBASIENNE.
Se per lunghezze di 3 – 4 metri è ancora accettabile il peso della fibra di vetro, per lunghezze superiori il rapporto peso lunghezza è ad assoluto appannaggio delle canne in carbonio.
Una sette metri in fenolico si attesta infatti su pesi che possono arrivare al chilogrammo mentre una media mescola in carbonio, per una canna della stessa lunghezza si attesterà su di un peso intorno ai 3 etti. Ciò senza voler arrivare alle canne in altissimo modulo con pesi davvero risibili ma estremamente costose e da utilizzare con grande cautela per l’intrinseca fragilità agli urti dei materiali.
La canna fissa di misura contenuta tra i tre ed i quattro metri viene utilizzata per la pesca in buca o per la pesca in velocità di piccoli pesci come castagnole, latterini o altri pescetti e solo in questo caso è pensabile un uso non troppo affaticante di un attrezzo in fenolico.
Superata la misura dei quattro metri è consigliabile l’uso di una canna in carbonio che specie per le misure più corte, 5 e 6 metri, sono acquistabili a prezzi contenuti, anche in considerazione del fatto che per l’uso marino il carbonio “alta resistenza” meno pregiato dell’alto modulo, è più indicato sia per l’ ostilità dell’ambiente, spesso scogliere, che per la mole del pesce più ricercato con tale attrezzo, il cefalo o muggine, che può raggiunge taglie di assoluto rilievo e che unisce alla combattività sicuramente tra le più elevate riscontrabili in mare.
Le fisse più lunghe, tra i 7 e gli 8 metri sono ancora sufficientemente diffuse anche se, vista la misura che inizia
ad essere notevole, necessitano di una costruzione in materiali maggiormente pregiati per contenerne il peso. La 8 e la 9 metri sono utilizzate per la pesca dalle profonde banchine portuali o per la ricerca delle occhiate che non accostano troppo alla scogliera dove siamo appostati.
Le canne fisse di lunghezza superiore appartengono al mondo dell’agonismo e passiamo di preferenza alle roubasienne, canne di derivazione transalpina, molto utilizzate in acque dolci, che presentano la caratteristica di una cima di 5/6 metri telescopica, raccordata ad una serie di pezzi ad incastro che prevedono una tecnica tutto particolare, consentendo delle lenze anche di solo 5 metri montate su canne anche da 14. Durante il recupero della preda il pescatore provvederà a staccare man mano i pezzi posteriori che poggiano su appositi rulli fino a poter afferrare la preda.
LA BOLOGNESE
La necessità di poter meglio assecondare le fughe dei pesci, di poter disporre di una frizione per controllare le fughe ed evitare rotture delle lenze, spesso capillari, hanno portato
alla nascita della bolognese.
Questa canna consta di un fusto telescopico, molto simile se non proprio derivato da una canna fissa, su cui sono montati una serie di anelli. Il pezzo inferiore dell’attrezzo ospita un portamulinello che sarà montato orientativamente all’altezza del gomito del pescatore e sarà preferibilmente del tipo a baionetta. La disposizione degli anelli dovrà tentare di assecondare il più possibile la curvatura della canna sotto carico e più sarà parabolico l’ attrezzo di più anelli necessiterà. Per tale motivo sulle bolognesi di maggior pregio troveremo anelli intermedi montati su tubetto tra due sezioni della stessa canna e numerosi saranno gli anellini che correderanno la cima degli attrezzi.
Altra caratteristica sarà il tipo di anello montato che sarà a ponte singolo, ovvero ci sarà solo un gambo inferiore da legare alla canna, e diverse saranno le altezze dei “ponti”. Per evitare che l’umido possa far attaccare la lenza alla fibra della canna saranno da preferire canne montate con anelli a ponte medio o alto.
Bolognesi montate con anelli a ghiera ovvero non legati potranno solo appartenere alla fascia più economica del mercato e generalmente il materiale di costruzione sarà l’economico e pesante fenolico.
La pesca con canna bolognese avverrà quasi sempre abbinata ad una lenza sostenuta da un galleggiante.
Molto diffusa è la pesca con canna bolognese per la pesca della spigola in ambito portuale, di saraghi ed occhiate dalle scogliere naturali. Molto spesso e sempre più di frequente il classico galleggiante da bolognese viene sostituito da un “galleggiante all’inglese” che presenta qualche vantaggio specie con vento ma mare sostanzialmente calmo.
E siamo arrivati alle canne all’inglese; queste sono il corrispettivo anglosassone delle nostre bolognesi e nascono per la pesca in canale a lunga distanza. Poi l’uso è stato allargato al mare e le misure canoniche attestate sui 3 metri e novanta sono cresciute fino ai 5 metri circa. L’inglese classica è una canna ad innesti in tre pezzi ed è connotata da numerosi anelli guidafilo (oltre i 10) generalmente di piccolo diametro.
Esigenze commerciali e di pesca in mare hanno immesso sul mercato attrezzi da 4,20/4,50 Mt. telescopici, con un numero di anelli che arriva a 15/16. La telescopicità degli attrezzi non consentirà una perfetta scalatura degli anelli, per cui saranno molto frequenti anelli intermedi tra due sezioni legati su tubetto.
La canna all’inglese, di base più potente della classica bolognese, consente una pesca a maggior distanza dalla riva, e le più potenti, in grado di lanciare galleggianti in parte piombati di una portata fino a 30 grammi, consente di posizionare le nostre esche fino a 40/60 metri, al punto che il filo in bobina del 14 o del 16, dovrà essere corredato di un adeguato parastrappi dello 0.25, mutuato dalla pesca a fondo dalla spiaggia.
In Italia sono molte le aziende che producono canne da riva di ottima fattura da ricordare Maver, Triana, Tubertini, Trabucco, Milo. Tra le non italiana citiamo l’ottima produzione della Daiwa, la Mitchell, la Shimano. Di principio sappiate che canne troppo economiche, spesso non durano l’arco di una stagione e che spendere qualche soldo in più per un attrezzo di sicuro affidamento è spesso l’unico modo per risparmiare.