IV. Il dono di Costantino

All’inizio del IV secolo una considerevole parte dell’area che portava il nome di Laterano era occupata dalla tenuta Domus Faustae (Casa di Fausta), che si trovava nel luogo dei possedimenti confiscati da Nerone a Plauzio Laterano. Molto probabilmente la tenuta era appartenuta a Flavia Maxima Fausta, la figlia dell’imperatore Massimiano20. Nell’anno 307, quando Fausta divenne moglie di Flavio Valerio Aurelio Costantino, passato nella storia con il nome di Costantino I Il Grande, la sua tenuta si aggiunse agli altri possedimenti del marito. Quì era la loro dimora quando i coniugi si fermavano a Roma.

Ma cominciamo con i fatti antecedenti…


Chi è stato a Venezia sicuramente avrà notato la strana scultura di porfirio rosso-scuro sotto la facciata meridionale della basilica di San Marco, raffigurante quattro uomini armati di lance che si abbracciano amichevolmente l’un l’altro. Questa scultura del IV secolo fu portata lì dai venezani dopo il saccheggio di Costantinopoli, dove abbelliva una delle piazze principali della città. Ai giorni nostri i rappresentanti delle comunità LGBT sono soliti fotografarsi vicino al quartetto interpretando in modo sbagliato l’abbraccio, senza rendersi conto di chi rapprenti. D’altronde non sono solo loro a non rendersene conto. Affrettiamoci a colmare questa lacuna.

Nel III secolo l’Impero Romano che a quel tempo raggiunse delle proporzioni giganti, entrò in una striscia di prolungata crisi, o, come direbbero da noi «Smuta» (Tumulto). Una parte dei territori proclamò la propria indipendenza da Roma e le dispute tra imperatori condussero ad un periodo di 33 anni (tra il 235 e il 268), durante il quale furono incoronati 29 imperatori, dei quali solo uno morì di morte propria. Chissà come sarebbe finita quest’epoca di congiure di palazzo se al potere non fosse salito Diocleziano21.


Nel 285 Diocleziano introdusse un nuovo sistema di governo dell’immenso Impero Romano – la tetrarchia22, secondo la quale a governare dovevano essere non uno, ma quattro re. Due di loro vennero chiamati «augusti» (imperatori anziani) e gli altri due – «cesari» (imperatori giovani). Si prevedeva che dopo 20 anni di governo gli augusti avrebbero abdicato in favore dei cesari che a loro volta avrebbero dovuto designarsi dei successori. A sua volta, Diocleziano nominò come cesare un suo vecchio amico, il comandante Massimiano Erculio, elevandolo poi al grado di augusto. Diocleziano governò la parte orientale dell’impero, invece Massimiano – quella occidentale. Nel 239 Diocleziano e Massimiano nominarono come loro successori due cesari: Galerio e Costanzo Cloro. Quindi sono questi quattro che stanno abbraciati vicino alla basilica di San Marco a Venezia.

E adesso, attenzione…

Ai lettori che si sono allenati guardando le soap-opere latino-americane non sara difficile seguire il filo del discorso, chi invece non è preparato, molto probabilmente dovrà rileggere il seguente paragrafo più volte. Purtroppo non si può fare a meno di queste informazioni, perchè sono strettamente collegate al imperatore Costantino Il Grande e il Laterano.

Per rafforzare i legami tra i membri della tetrarchia, si decise che avrebbero dovuto imparentarsi nel senso letterale della parola. Chi era sposato fu fatto divorziare e chi era scapolo fu fatto sposare. Una delle mogli dell’imperatore Massimiano era la siriana Eutropia, che aveva una figlia dal precedente matrimonio – Teodora. E fu questa Teodora, figliastra di Massimiano che fu data in sposa a Costanzo Cloro dopo il divorzio dalla moglie Elena. A Massimiano invece Eutropia diede alla luce il figlio Massenzio e la figlia Fausta. Nel 307 Fausta fu data in sposa a Costantino, figlio di Costanzo Cloro e della sua prima moglie Elena.

Vi siete persi? Se è così allora ricapitoliamo tutto dal punto di vista di Costantino…

Suo padre Costanzo Cloro, dopo aver divorziato dalla miglie Elena si unì un matrimonio alla figliastra del comandante Massimiano. Quest’ultimo, dopo essersi ritirato, diede in sposa a Costantino sua figlia Fausta. Sposata Fausta, Costantino ricevette quindi anche la tenuta Domus Faustae, che un tempo appartenne a Plauzio Laterano (proprio quello che fu giustiziato per avere preso parte al complotto contro Nerone).

Due anni prima del matrimonio tra Costantino e Fausta, attenendosi alla legge di Diocleziano, sia Diocleziano che Massimiano abdicarono dal trono. Diventato augusto, Costanzo I Cloro partì per la Britannia per combattere i pitti, ma un’anno dopo morì, dopo aver fatto in tempo a chiamare Costantino per dirgli addio. Dopo la morte di Costanzo Cloro, i suoi soldati, rispettando le ultime volontà del generale, insignirono Costantino della carica di Augusto.

Allo stesso tempo a Roma, Massenzio, con l’aiuto delle guardie pretoriane

salì al potere. Costantino, con molta magnianimità riconobbe la carica di augusto del suo futuro cognato. Non ci soffermeremo sugli interessanti dettagli delle lotte per il trono che imperversarono negli anni seguenti, ma faremo solo un cenno a Diocleziano, che a quei tempi si era ritirato. Nel film amato da tutti «Moscva slezam ne verit» (Mosca non crede alle lacrime) di lui così parlò l’eroe del film, il meccanico Gosha: «c’era una volta questo imperatore romano Diocleziano. Durante il massimo splendore del suo impero rinunciò al trono e si ritirò in campagna. Alle richieste di tornare a regnare lui rispose: «se aveste visto che bei cavoli ho fatto crescere la piantereste di cercare di convincermi».

All’opposto di Diocleziano, ne Massimiano, ne Massenzio, ne Costantino volevano crescere vegetali, tantomeno diventare tali. Nel 310, il suocero di Costantino, Massimiano cercò di conquistare la Gallia del sud e riprendersi il trono, ma fu sconfitto e si suicidò. Massenzio, incolpando Costantino dell’uccisione del padre, fece distruggere tutte le statue che lo raffiguravano e fece togliere il suo nome da tutti gli edifici pubblici. Questo fu un’atto di sfida aperta per l’avversario. Approfittando dell’occasione, il Senato si rivolse a Costantino con la richiesta di liberare al più presto Roma da Massenzio, il regno del quale era diventato una crudele tirannia. Costantino accettò, ma solo con la condizione che Roma lo avesse dichiarato liberatore, ma in nessun caso, conquistatore. Dopo aver ottenuto una risposta positiva, nel 312 Costantino mosse le prorie truppe contro Massenzio. Ed è prorio allora che accadde il fatto che cambiò radicalmente la storia…

Per la prima volta questo avvenimento venne menzionato nell’opera «vita di Costantino», scritto in greco da un contemporaneo dell’imperatore, lo storico Eusebio di Cesarea. Riportando le parole di Costantino, Eusebio scrive, che alla vigilia della battaglia, l’imperatore ebbe una visione sotto forma di una croce che brillava sotto al sole che tramontava e recante la scritta «ἐν τούτῳ νίκα» (in slavo-ant. «Cим победиши», o «con questo vinci», lat. in hoc signo vinces). Scosso da quello che vide, Costantino ordinò di raffigurare la croce sugli scudi dei propri soldati che si stavano preparando per la battaglia.

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